Dopo aver raccontato la storia di Moreno, oggi vogliamo parlarvi di un altro dei nostri agricoltori, sempre attraverso le bellissime interviste degli  studenti della Scuola di letteratura e fotografia Jack London.

Nell’orto facciamo anche la conoscenza di Primo. Braccia incrociate, un maglioncino grigio con il collo a V, la barba appena fatta e un paio di occhiali da vista neri dalla montatura spessa, Primo ci sta aspettando al confine tra il prato dove abbiamo lasciato la macchina e la terra coltivata. 

 

Gli chiediamo di mostrarci gli ortaggi di cui si sta prendendo cura, e lo seguiamo sulla terra smossa; ci indica le fila di finocchi, cavolfiori colorati, broccoli e verza che partono dal punto in cui ci fermiamo e corrono perfettamente allineate per qualche decina di metri fino al limitare dell’orto, verso la strada.

 

Primo indugia su ogni verdura, è molto preciso e meticoloso nel descriverne tipo e colore, spiegandoci quanto manca al momento della raccolta.

 

Ci racconta di essere nipote di agricoltori, con il padre che è passato dai campi alla fabbrica negli anni Sessanta – una scelta che ha portato la famiglia a spostarsi dal borgo natale di Smerillo a Campiglione.

“Ritornare all’agricoltura dopo tanti anni come operaio facendo lavori diversi è stato un passo naturale per me. E poi a casa coltivo ancora l’orto che era di mio padre e prima ancora di mio nonno. Ho anche un piccolo bosco”.

 

Soffermandosi sui particolari dell’orto Primo riesce a entrare un po’ più in confidenza con noi; alle nostre domande inesperte ci risponde con pazienza, ci spiega di aver appena seminato aglio e fave e tra una ventina di giorni, quando ormai sarà dicembre, ne verranno piantate ancora in modo da dilazionare la raccolta. Gli chiediamo anche da dove provengono le semenze e ci racconta di Francesco, l’agronomo che li consiglia sulle tecniche di coltivazione e che con le sue competenze supporta il progetto della cooperativa.

 

È lo stesso professionista che li ha aiutati a realizzare l’impianto di irrigazione a goccia che fornisce acqua alle piante pompandola dal pozzo accanto all’orto.

Primo dà l’impressione di essere una persona abituata a riflettere, e quando l’argomento si allontana dalla gestione quotidiana dell’orto sono le sue stesse parole a darcene conferma: “Una cosa molto importante per me ora è quella di riuscire ad arrivare a sera e riflettere su quello che ho fatto. È un bisogno che sento durante la giornata, stare per conto mio e rielaborare”.

 

Ci spiega che il suo approccio meditativo alla vita è scattato da poco, “Grazie all’incontro con persone che mi hanno aiutato, qualcuno che ha creduto in me”. Un aiuto che, ci dice, non avrebbe saputo sfruttare se non avesse trovato la forza di chiederlo. 

 

Passeggiare nell’orto in compagnia di Primo è come muoversi all’interno del suo spazio privato, e noi lo attraversiamo cercando di rispettare la sua delicatezza, facendo attenzione a dove mettiamo i piedi.

 

Mentre ci muoviamo sul limitare dell’orto Primo torna al 1978, quando hanno avuto inizio i suoi problemi di tossicodipendenza: aveva 16 anni, e ricorda quel periodo come un collettore di nuove esperienze e grandi disillusioni, dove un certo tipo di ribellione era legato a doppio filo al consumo e alla dipendenza di droghe pesanti.

 

 

 

È stato uno stile di vita, un modo per affrontare la società e la famiglia”. Dalla fine degli anni Settanta Primo entra in un tunnel da cui riuscirà a rivedere la luce solo per pochissimo tempo, durante brevi parentesi: saranno anni di viaggi in Italia e all’estero, “storiacce”, esperienze diverse, “un pozzo di disperazione” da cui è riuscito a tirarsi fuori un paio d’anni fa. Ci è riuscito da solo ma con l’aiuto degli altri, del SerT e di una comunità terapeutica, cercando di tradurre in realtà il suo “disperato bisogno di riscatto”.

 

Primo si accende una sigaretta, si sente il rumore della pietra focaia e quello delle macchine che passano in lontananza, dove l’orto si confonde al prato prima di interrompersi sul ciglio della strada. Sorride dicendo che a gennaio di quest’anno finalmente si è sentito pronto per rimettersi in gioco; in quel periodo una persona che lavora nei servizi sociali di Fermo lo mette in contatto con la cooperativa, e ha inizio la sua collaborazione part time nell’orto.

“Qui ho trovato delle persone interessanti. Intelligenti. Giorno per giorno con impegno costante puoi conquistarti la loro fiducia”.

Sente di avere libertà di azione, possibilità di sviluppare le proprie competenze. Immagina nuove prospettive – l’idea di coinvolgere altre persone, ampliare i lavori di chi si occupa della manutenzione del verde pubblico, partecipare a gare d’appalto per sbloccare nuovi lavori.

La conversazione si sposta su altri argomenti, Primo ci indica il piccolo oliveto in lontananza, raccontandoci che quest’anno a causa delle temperature la raccolta dei frutti è stata un po’ più complicata del solito.

Parliamo della trasformazione dei prodotti e della sostenibilità, di cui ci dà la sua personale interpretazione: “Per me sostenibilità vuol dire riuscire a convivere pacificamente con la terra, fra gli uomini. Consumare meno, mangiare cibi di stagione, impattare sull’ambiente il meno possibile. Perché non ci siamo solo noi, siamo una componente che convive con gli animali, i vegetali. Siamo ospiti, come tutte le altre forme di vita”.

Chiediamo a Primo se si sente trasformato: “Quello che si trasforma secondo me è la conoscenza che si ha di se stessi. Dipende da quello che vuoi per te, non dimenticarsi che si può migliorare. E si impara sempre dalle persone, se si ha voglia di farlo”.

Ci fermiamo lungo il confine tra l’orto e il prato, accanto al pozzo che fornisce l’acqua alle coltivazioni. “Quello che ho imparato adesso è che bisogna essere sempre positivi. Trovare piacere in quello che fai e trasmetterlo.”.


Grazie a progetti dedicati ed al sostegno dei donatori, oggi siamo in grado di dare lavoro e dignità a persone in situazione di disagio sociale. Un aiuto concreto con cui persone come Moreno riescono a reinserirsi nella società, ritrovando una propria autonomia, acquisendo maggiore professionalità, mettendo a frutto le proprie potenzialità e rendendosi utili per sé stesse e per gli altri.

 

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